S. Latouche, Fine del sogno occidentale. Saggio sull’americanizzazione del mondo, Eleuthera 2002.
Docente di scienze economiche a Parigi e studioso dei problemi del Terzo Mondo, in questo agile testo (175 pp.) l’autore torna sui temi affrontati nella sua produzione saggistica, in cui sono centrali le dinamiche economiche e sociali mondiali (si veda in particolare L’occidentalizzazione del mondo, del 1989; trad. it. 1992)
A differenza di molti libri sui temi riguardanti ciò che oggi chiameremmo la globalizzazione, Latouche non si concentra esclusivamente sui temi economici (la povertà), o politico-militari (egemonia degli USA), ma focalizza il suo sguardo di antropologo sulle radici culturali dello sviluppo e della tecnica che fa da sfondo a tutte le interazioni globali: l’Occidente.
Va specificato che il sottotitolo trae in inganno in quanto lo studioso non ha cambiato idea rispetto alle idee espresse ne L’occidentalizzazione del mondo: centrale è l’espansione universale dell’Occidente europeo, in corso da secoli, di cui l’odierna egemonia americana non è che il volto più recente
L’Occidente è così definibile, al di là delle realtà storiche con le quali si è a tratti identificato (Cristianità medievale, valori illuministico-universali, colonialismo “fardello dell’uomo bianco”, capitalismo competitivo, primato scientifico-tecnologico) come soggetto deterritorializzato (non si identifica con nessun territorio preciso), come una megamacchina tecnoeconomica fondata sull’efficientismo, sul tecnicismo e sul pragmatismo. Il suo fondamento è la separazione della sfera economico-materiale da quella intellettuale-culturale, derivante dalla filosofia occidentale (il corpo e l’anima, la materia e lo spirito): se tale distinzione consente un maggiore dinamismo e un controllo più forte delle attività produttive, d’altra parte priva di senso le attività materiali, riservando la cultura solo a fasce ristrette. Perciò quella occidentale è una anticultura, che priva le società tradizionali dei loro modi di vita relegandone le usanze in un esotismo tanto marginale quanto patetico senza fornire alcun sostituto che l’accumulazione di beni. Questo è probabilmente uno degli apporti più originali del libro, di una radicalità tale da non potere non porre forti interrogativi, in quanto condanna aspetti dell’influenza occidentale quasi universalmente apprezzati (come le scienze mediche).
Se gli aspetti dannosi di questa impostazione non mancano nei paesi occidentali, nel Terzo Mondo gli effetti sono stati catastrofici, col tentativo di imporre dei processi (industrializzazione, urbanizzazione, forma dello stato-nazione) a culture ad essi estranee. E qui troviamo l’altra tesi, originale quanto di grande radicalità espressa dallo studioso: non è la spoliazione, la rapina che hanno fatto la rovina dei paesi poveri, ma il dono della tecnologia e il valore di progresso: facendoli propri i popoli non occidentali si vedono con lo sguardo dell’altro e si condannano in quanto tali. Il sottosviluppo è il ritenersi inadeguati e volersi a tutti i costi cambiare per divenire moderni. O, come dice provocatoriamente l’autore, “il sottosviluppo è una nomination occidentale”. Ignari dei contesti locali, prefabbricati in base ad acritici presupposti, i progetti di modernizzazione falliscono uno dopo l’altro. Il “sogno” dell’occidentalizzazione / modernizzazione si tramuta in un incubo.