Al centro della trattazione sta l’analisi della lex mercatoria globale. Tale nome costituisce già in sé un’interpretazione: lex mercatoria è locuzione indicante nel Medioevo le regole normanti le attività mercantili, fondate sugli statuti delle corporazioni, sulle consuetudini della prassi commerciale e sulle decisioni delle curiae mercatorum (tribunali costituiti dagli stessi mercanti), capaci di derogare il diritto romano in vigore[2]. Dopo un primo capitolo dedicato al contesto delle attuali trasformazioni dell’economia (rivoluzione postindustriale, terziarizzazione, rivoluzione (neo)manageriale, globalizzazione, ecc.)[3], si rileva come il recente contesto di transnazionalizzazione abbia spinto il diritto commerciale al superamento di quei confini nazionali nei quali le monarchie e più tardi gli stati lo avevano costretto. Ma i fattori di similarità vanno oltre ad un nuovo cosmopolitismo mercantile – che richiama, appunto, il Medioevo – ora mondiale, per estendersi ai soggetti produttori di diritto e alla giurisdizione. Che si identificano con gli stessi operatori commerciali: le imprese transnazionali. È la comunità degli affari che costruisce le norme e le regole destinate ad essere applicate, e le applica nelle corti arbitrali internazionali.
Con tale presupposto si confrontano le problematiche di chi siano i nuovi protagonisti dei processi: la funzione legislativa tradizionalmente attribuita ai parlamenti nazionali viene assunta dai contratti creati dalle pratiche commerciali, che alla fine anche gli ordinamenti nazionali riconoscono e prevedono esplicitamente; la funzione giurisprudenziale viene sostanzialmente assunta come variabile della prassi commerciale, nella possibilità di scegliere il diritto a cui riferirsi in casi di vertenza, in quello che l’autore definisce shopping del diritto nazionale[4]. Ambito fortemente internazionalista nel quale i precedenti esteri assumono un’influenza crescente, dato che nella misura in cui l’ordinamento recepisce i modelli contrattuali elaborati in ambito internazionale il giudice si trova di fonte alla necessità di confrontarsi con soluzioni adottate in tribunali al di fuori dell’area nazionale. Si parla, appunto, sul modello anglosassone, di produzione di diritto per via giurisprudenziale con applicazione creativa da parte del giudice[5]. A tale articolazione corrisponde la struttura giuridica delle imprese, la cui nascita può essere datata con precisione dal 1896: la data in cui un’impresa venne ammessa ad acquisire azioni di un’altra impresa, creando la forma della holding[6]. Di fronte alla ricchezza e alla profondità della trattazione, il lettore non specialista non può che cercare di districarsi fra la ricchezza di spunti del testo, evitando o sorpassando velocemente i punti più impervi – alcuni paragrafi sono francamente illeggibili per il lettore medio, riferendosi a punti molto specifici della terminologia giusprivatista. Su due punti vorremmo avanzare delle riserve alla tesi prospettata.
La prima è un’impostazione che a dispetto dei riferimenti iniziali sul contesto economico-tecnologico, inclina a uno specialismo troppo marcato. Il rapporto del mondo degli affari con gli stati nazionali, problema eminentemente politico, è completamente sorvolato. Non si fa parola del WTO, ad esempio, restituendo l’immagine di un diritto commerciale spontaneamente sorgente dalla prassi commerciale, al di là dei contrasti generati dalla sua valenza politica. Che appunto risuonano nei vertici del WTO fra le delegazioni degli stati. L’autore appare eccessivamente incline ad accogliere “il nuovo che avanza”, sottovalutandone le spigolosità, se non proprio i drammi sociali[7].
Il secondo punto problematico è l’universalità della nuova lex mercatoria. Galgano ammette che si tratta in gran parte di una emanazione della cultura occidentale – anzi angloamericana – ma chiama in causa alcuni elementi attenuativi, quali il fatto che essa incorpori elementi elaborati in altre culture e che in alcuni contesti venga recepita secondo interpretazioni che la adattano alla realtà locale[8]. A questo proposito, a parte la consistenza di tali argomentazioni, che possono considerarsi tutto sommato marginali rispetto al quadro tracciato, la questione problematica sul piano del pluralismo culturale è proprio l’esistenza di un simile settore giuridico differenziato, esprimente la separatezza dell’economia nei confronti della vita sociale nel suo complesso; presupposto questo in molte culture risulta problematica o addirittura impensabile[9]. Nel complesso il testo di Galgano offre un eccellente quadro delle modificazioni del diritto in un contesto che muta costantemente, senza farsi carico delle questioni più scottanti che questi processi implicano, non tanto sul levigato piano del diritto commerciale, ma su quello assai più turbolento dei diritti costituzionali che ad esso sono – o dovrebbero essere sovraordinati[10].
L’Istituto Internazionale per la Unificazione del Diritto Privato (UNIDROIT), organismo intergovernamentale creato nel 1926 e rifondato nel 1940, si occupa dell’armonizzazione del diritto privato: www.unidroit.orgIl Movimento Anti-Utilitarista delle Scienze Sociali (MAUSS), critico della modernità, è attivo anche in Italia: http://digilander.libero.it/altroparadigma/MAUSS_it/homeMAUSS_it.htm
NOTE
[1] Si veda a pp. 10-11 del testo.
[2] Un punto a nostro avviso fondamentale, visto con lucidità dall'autore, che non sembra trarne le debite conseguenze in termini di diritto costituzionale. Eppure lui stesso scrive: "L'antica lex mercatoria aveva preceduto l'avvento degli Stati moderni: la sua funzione era consistita nel derogare, per i rapporti commerciali, al diritto civile di allora, ossia al diritto romano, rivelatosi non più congeniale alle esigenze dei traffici" (corsivo mio). Confortato in ciò, dall'importante opera di Ferrarese, Le istituzioni della globalizzazione, Bologna 2000, pp. 90 e ss., citata da Galgano alla n. 26, p. 57.
[3] Pp. 13-42, intitolato Una rivoluzione annunciata. A quale rivoluzione l’autore si riferisca non è in realtà così chiaro, dato che il capitolo evita prudentemente di operare una difficile sintesi fra le acquisizioni sopra menzionate, non del tutto coerenti nei presupposti dai quali muovono. La linea argomentativa procede cogliendone gli spunti di maggior interesse per contestualizzare la trasformazione del diritto.
[4] Si veda, in specie, a pp. 86-92.
[5] Il che è tradizionalmente prerogativa dei sistemi di common law – cioè di diritto anglosassone – rispetto ai paesi di civil law (che si rifanno al diritto romano), in cui prevale chiaramente la volontà del legislatore e i precedenti hanno poco peso. Fino ad ora, almeno.
[6] Vedi pp. 159-160. Comunemente si fa riferimento all’espansione delle imprese in più paesi – di qui il termine di multinazionali – senza cogliere quanto tale innovazione giuridica non solo permetta ma induca alla concentrazione di un gran numero di soggetti economici, creando l’attuale intreccio di legami economici che risulta sostanzialmente non descrivibile, vista la complessità e la rapida fluidità di tali rapporti. L’unico tentativo di seguire con un quadro sinottico il quadro mondiale da noi conosciuto è il seguente sito: http://www.transnationale.org.
[7] Galgano polemizza contro “chi insorge contro l’idea di un diritto astatuale”, adducendo che “la nostra civiltà giuridica ha prosperato [senza lo stato-nazione] per diciassette dei diciannove secoli della sua esistenza” (p. 35). Qui l’autore evita con molta abilità di affrontare il punto principale, non consistente tanto su quali siano le fonti del diritto, ma su quali principi siano alla base. In altre parole: quale istituto, se non la via giurisdizionale statale, garantisce la conformità delle norme regolanti il commercio coi principi costituzionali universalmente accettati? La tutela dei diritti umani, le libertà di sciopero e sindacali – fra i tanti – sono universali ma non astatuali in quanto vengono recepiti dagli ordinamenti nazionali, e anzi in quell’ambito divengono effettivi, delimitando l’attività legislativa al loro rispetto.
[8] La questione viene posta alle pp. 38-41 del testo. [9] Su questo punto si concentrano le più forti obiezioni alla modernità mosse da alcune delle più radicali teorie di critica sociale. Si veda, per esempio, [10] Si veda la n. 7. A titolo di esempio, si può richiamare la concentrazione della proprietà di aziende operanti in settori particolarmente delicati della vita civile come i media. Principio, questo, richiamato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 420 del 7 dicembre 1994 (si veda http://www.medialaw.it/radiotv/giurisprudenza/1994420.htm) nei riguardi nell’articolo 21 della Costituzione italiana, per cui indica la necessità di un limite al numero di canali detenuti da un medesimo soggetto. Principio, questo che ha evidenti ricadute anche sul diritto commerciale, in quanto configura un diritto di accesso al mercato per eventuali altri concorrenti. Svincolandosi dal richiamo al dettato costituzionale, non è chiaro quale tutela avrebbero i soggetti in questione nel quadro del diritto contrattuale della lex mercatoria (ma la difficoltà è vista anche da Galgano: si veda pp. 110-111).