A. Dal Lago, Non persone. L’esclusione dei migranti dalla società globale, Feltrinelli 1999.
Nato come un breve saggio sulla discriminazione dei migranti, come esplicitamente dichiara l’autore nella prefazione, Non-persone è un testo che esplora il fenomeno immigrazione non tanto nella sua consistenza oggettiva (numero dei migranti, estrazione sociale, distribuzione sul territorio, ecc.) quanto nella percezione che ne ha la società, nel contesto italiano degli anni Novanta, (ripetuti “allarmi-immigrazione”, ascesa del movimento localistico della Lega Nord, retoriche della Seconda Repubblica).
Incentrandosi sui meccanismi che danno luogo alla tipica immagine dell’immigrato, l’autore giunge alle seguenti conclusioni: l’interazione di mezzi di comunicazione di massa (i giornali, più che radio e TV), le affermazioni di uomini politici e di intellettuali (spesso sprovvisti di qualsiasi competenza nel merito) crea nell’immaginario collettivo un’equazione che stigmatizza il migrante come criminale, in modo che qualunque affermazione pubblica che avvalori tale luogo comune riceve una pregiudiziale conferma veritativa. Legittimando o minimizzando in tal modo gli atti vessatori di cui gli stranieri sono vittime, spesso da parte della polizia. Anche le aggressioni più violente vengono ricondotte non a razzismo, ma a situazioni “oggettivamente” disagevoli che “comprensibilmente” esasperano i cittadini: la colpa ricade infine sull’immigrazione medesima (processo di vittimizzazione dei colpevoli [=gli aggressori italiani] e di colpevolizzazione delle vittime [=i migranti discriminati] ). In questa percezione dominante (“frame”, come lo chiama Dal Lago) divengono credibili la psicosi dell’allarme da invasione e la propensione degli stranieri a delinquere (entrambi largamente ingiustificabili dai dati reali).
Buona parte del libro descrive il modo in cui le forze politiche si servono di questo tema per acquisire consenso elettorale (evitando questioni più controverse e politicamente costose: gli immigrati non votano), in entrambi gli schieramenti: se a destra appaiono fermenti xenofobi e razzisti, con affermazioni violentemente identitarie improntate ad una retorica bellicista (fino ad affermazioni francamente irrazionali sul “complotto invasivo” degli stranieri che mirano alla corruzione della “millenaria società laica-liberale-cristiana” [sic!] ), a sinistra si afferma una cultura dell’ “esclusione democratica” che anziché denunciare gli immigrati vistosamente come nemici, si limita a trattarli di fatto come tali.
Negli ultimi capitoli l’autore allarga la riflessione al contesto della globalizzazione (fenomeno che da un lato incrementa l’emigrazione, creando povertà, dall’altro erode i poteri degli stati nazionali e porta i politici a una lotta strenua per mantenerne quanto più possibile, rincorrendo il consenso con mezzi demagogici), individuando l’articolazione che si presta ad assumere la società: quella di un doppio regime di diritti, in cui la democrazia diventa un privilegio della popolazione nazionale che non include gli stranieri (poveri).