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Biblioforum


Fini Massimo, Cyrano. Contro tutti i luoghi comuni, Marsilio 2005


  • Di fronte a un testo come questo il commento può prendere due strade, parallele alla sua doppia natura: quello di un testo teatrale e quello del saggio filosofico. Si tratta infatti del copione dell’omonimo spettacolo nel 2004 in vari teatri. Ma è anche un testo che si confronta con impegnative questioni di fondo: i caratteri della società contemporanea, della modernità e lo spaesamento dell’uomo di oggi.
    Apre il volume un’introduzione di Massimo Fini, che racconta come è nato lo spettacolo: come l’omonimo programma televisivo, originariamente destinato a Rai Due, sia stato cancellato e l’inventiva del suo produttore, Eduardo Fiorillo lo abbia trasformato in quello che è oggi. Fini non solo ha fornito il testo di base in cui ha travasato le sue idee, ma riveste una delle parti più importanti. Singolare, e non professionale – come lui sottolinea – rinascita della figura di attore/autore come nel passato la storia del teatro ha visto più volte.
    Nella impossibilità di commentare uno spettacolo sulla base del copione da esso tratto [1], si possono fare delle considerazioni sulla sua struttura. Ci sono cinque atti, di poche pagine sulla carta (dato che il tempo scenico è arricchito di spazi non verbali: balletti, filmati, ecc) dedicati ad un tema specifico. Non ci sono trama o personaggi, al centro ci sono le riflessioni fatte ad alta voce di Cyrano e Rossana (Massimo Fini e Francesca Roveda), di cui gli altri attori costituiscono la trasposizione visiva. Anzi: secondo le parole dello stesso regista, Eduardo Fiorillo, essi sono le “maschere” del pensiero di Fini. Anche se pare che essi si siano conquistati un ruolo più che decorativo nella messa in scena. Tale impianto a tesi, unito alla struttura di voce narrante contornata da elementi esplicativi, si presta facilmente ai rischi della monotonia e dell’eccesso didascalico. Sulla pagina evitarli è relativamente agevole, avvicinando il lettore allo stile del saggio; sulla scena senza dubbio gli elementi non verbali contribuiscono a creare un ritmo – inesistente alla lettura – coinvolgente e vitale, anche se dalla mera lettura è impossibile rendersene conto.

    Il tipo di spettacolo che abbandona la trama non è certo una novità nella storia del teatro – anzi talvolta si è giunti all’abbandono della forma “drammatica” di teatro con la riscoperta delle sue origini [2] - , piuttosto è singolare come tale forma sia scaturita non da una riflessione teorica sulle pratiche drammaurgiche, ma dal caso – l’origine televisiva – e dalla volontà civile di diffondere un tipo di pensiero alternativo – da qui il sottotitolo fortemente, polemicamente programmatico: contro tutti i luoghi comuni.
    Il messaggio e i suoi contenuti non presentano originalità rispetto alle posizioni elaborate da Fini nel corso di un ventennio di saggistica; ne diamo i punti principali:
    - critica della modernità (comprendente tanto comunismo quanto capitalismo) e dell’industrialismo, che promettendo vantaggi e benefici ha sottomesso l’uomo alla produzione e all’economia;
    - uomo contemporaneo solo, consumatore, viziato dalle comodità e svuotato di vitalità e dignità; da cui deriva la necessità di ricorrere al consumismo per darsi un senso e il gran numero di nevrosi della società moderna
    - rinuncia all’armonia preindustriale a favore di un insaziabile dinamismo tecnico finalizzato alla ricerca della felicità (che, come orizzonte normativo, non si raggiunge mai);
    - denuncia della democrazia parlamentare come copertura ideologica degli interessi dell’élite

    Questi i nuclei essenziali della filosofia che si esprime nel testo [3]. La quale forse risulta più adatta alla provocazione intellettuale di Cyrano che alle pretese dei saggi provvisti di note ma inevitabilmente brevi precedenti ad esso. Quello che colpisce e dà forza ai pamphlet di Fini è la visione di fondo che da essi emerge, una sintesi globale capace di far pensare e riflettere l’uomo contemporaneo, la quale possiede una certa brutale freschezza impressiva, ma è vulnerabile nei particolari. Si tratta di una critica vigorosa ma poco attenta ai dettagli, le cui singole affermazioni, da sole, non resisterebbero ad un esame dettagliato che ne mettesse in crisi i presupposti [4]. Ma l’insieme si dimostra molto resistente anche di fronte al più tenace avversario, se questi mantiene una sufficiente onestà intellettuale.
    Per chi come lo scrivente ha una sufficiente familiarità con simili temi, la parte più vivace e piacevole della lettura sarà stata l’introduzione, che parla dello spettacolo in sé: la sua realizzazione, il reclutamento del cast e i suoi componenti. E’ da rilevare che quasi tutti sono non professionisti, a cominciare da Fini stesso: alieno dal teatro e a suo dire non portato per la professione attorica, si è lasciato trascinare sulle scene rimettendosi in discussione a sessant’anni.
    Anche la scrittura, lontana dai consueti toni polemici dei temi anticapitalistici, è più calda, concreta, vicina al lettore, al quale fa intravedere il volto degli attori, le loro debolezze, i loro punti di forza. Chi ha studiato la storia del teatro avvertirà l’eco dei racconti delle vecchie compagnie. Si può dire che mentre nel testo vediamo lo scheletro della rappresentazione, l’apparato ideologico, l’introduzione ci restituisce un po’ della sua carne. In attesa della prossima stagione.


    NOTE
    [1] E non il contrario. Si pensa, in generale, che un dramma sia la trasposizione scenica di un testo già confezionato, con eventuali variazioni. Tale visione è derivata dalla predominanza di testi del passato assurti a dignità letteraria: Amleto e Don Carlos presentano una loro irripetibile storicità che la sensibilità contemporanea di un regista non può alterare. Tale posizione è doppiamente errata. Pur testimoniando un giusto rispetto per la volontà estetica degli autori – in passato non ci si faceva scrupoli a cancellare le parti più impegnative per fare spazio a scene di più facile successo – si deve considerare che storicamente molti testi sono il risultato di una bozza di partenza passata attraverso il vaglio della sua funzionalità scenica. Nel testo che noi oggi leggiamo sono probabilmente confluiti suggerimenti, aggiunte e ritocchi da parte della troupe, la cui forma finale è stata alla fine letterariamente confezionata dal drammaturgo. Tale versione “finale” è inoltre destinata alla lettura, non alla rappresentazione, che a seconda delle condizioni materiali in cui si muove (disponibilità di attori, ballerini, oggetti di scena, ecc.) avrà diverse versioni. Cyrano non fa eccezione, Fini riconosce i contributi di Fiorillo e di Francesca Roveda.
    [2] Tanto nella prospettiva storica (la tragedia greca derivante probabilmente da riti religiosi) quanto nella riflessione sulle basi della teatralità, spesso ricondotte alla fisicità e all’autonomia gestuale, che il senso comune abitualmente relega nella meccanica trasposizione di un testo sul piano della visibilità.
    [3] Per un’esposizione più ampia e per la puntualizzazione dei suoi limiti rimandiamo alla nostra recensione all’ultima opera, Sudditi (http://www.cultureaconfine.net/online/fini.asp). Notiamo solo a margine che osservavamo come la critica ai sistemi democratici si basasse sulla loro riduzione a procedure formali, che si coniugavano colla modernità e il capitalismo; così che il vero obiettivo era sostanzialmente quest’ultimo, piuttosto che la democrazia in sé. In Cyrano ci pare che fini puntualizzi meglio il suo pensiero, ammettendo apertamente che “Quello della democrazia rappresentativa è, tutto sommato, un problema di secondo grado. […] Il fatto è che la liberaldemocrazia si è rivelata […] il contenitore ideale, il più adatto, del più totalizzante sistema produttivo […]. L’industrialismo, vestito di democrazia, tutto appiattisce e omologa”… (p. 41, corsivi nostri).
    [4] Gli esempi potrebbero scaturire numerosi, tanto agevolmente quanto – come si spiega nel testo – inutilmente. A p. 62 – tanto per farne uno solo – si indica nell’aumento dei suicidi fra ‘800 e ‘900 un indice del “disagio della civiltà” industrialista. Ora, però, Fini indica nello stato dei Talebani l’esempio di un’economia più sobria e sostenibile – senza additarlo come ideale, beninteso – ma non pare considerare che in quegli anni il numero dei suicidi sia cresciuto ben oltre la media delle società industriali. Il che non toglie che un gran numero di malattie mentali sia connesso con la vita moderna, ma getta qualche dubbio sulla correlazione così meccanica che lui indica. Occorrerebbe una lunga disquisizione sulle cause del suicidio in modo da mediare fra sistema economico e situazione soggettiva.
    Passi come questo si incontrano in quasi tutto il testo, quasi ad ogni pagina; e non solo in Cyrano. Così che una puntuale confutazione di tutte le approssimazioni sarebbe più lunga dei testi stessi.

    Visita il sito ufficiale di Massimo Fini:

    www.massimofini.it

    Il sito della casa editrice:

    http://www.marsilioeditori.it/

    Il movimento MAUSS, che nelle scienze antropologiche sviluppa una critica allo sviluppo simile a quella di Fini:

    http://www.edscuola.it/archivio/interlinea/mauss.htm


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