« La Maison européenne de la photographie » di Parigi ospita Un été italien, un’esposizione degli artisti italiani, che segnano l’identità artistica contemporanea del nostro paese nell’ambito della fotografia. I lavori recenti che questa mostra oggi riunisce affermano una vitalità e una creatività su cui si posa l’attenzione del pubblico con entusiasmo. Se la letteratura o il cinema italiani hanno già nutrito la produzione europea e hanno sempre ricevuto particolare attenzione, la produzione contemporanea italiana in questo settore riceve forse solo ora uno sguardo attento grazie a questo evento.
La nostra visita inizia con una piccola sala dedicata a Francesco Iodice e ai suoi lavori riuniti nella serie “Crossing”. Si tratta di un architetto di formazione che si consacra al paesaggio urbano e alla sua relazione con l’individuo, all’influenza dell’architettura sul comportamento. Queste fotografie hanno una grandezza naturale e riprendono persone che camminano in maniera spontanea verso la macchina senza sapere di essere ritratte. La città in cui si esegue il lavoro è Milano, sono ritratte persone che camminano nelle strade del centro. Si tratta di gente che vive il suo quotidiano, raffigurata nella banalità dei loro gesti. Le loro foto sono poi avvicinate in una continuità che interroga lo spazio che attraversano: la loro estraneità, l’estraneità delle persone ritratte nel loro avvicinamento artificiale riproduce una sorta di estraneità rispetto al paesaggio che occupano. La stessa indagine su questa relazione con lo spazio urbano è affrontata con un lavoro di video istallazione intitolato “Secret Traces. New York, Milano, Perth, Napoli, Ostende 1999-2005”. Nel video si ricostruisce la banalità di un’azione, di un percorso, in un momento in cui i soggetti non sanno di essere ripresi. I protagonisti del film sono dei personaggi che restano nel loro anonimato, mentre l’attenzione dello spettatore incontra una semplice strada, un parcheggio, dei cartelli, cabine del telefono. Non c’è niente di lirico nella meta da raggiungere né nel percorso descritto. La comparazione degli ambienti che risulta lascia emergere un senso di estraneità che trascina i protagonisti verso “lo sconosciuto”.
In altre due piccole sale in basso ci spostiamo per la visita a Cuba di Angel Marcos. L’artista è anche archeologo e porta alla città dell’Avana il suo sguardo che ne traccia la storia, riportando alla luce i particolari di una città “fantasma”. La sua attenzione interroga lo spazio urbano nella sua incoreanza e nel suo coesistere con ciò che in quello spazio resta come addormentato. Il suo lavoro si rivolge a Cuba come ad una moderna Pompei o una nuova Ercolano. Le facciate degli edifici sembrano avere le decorazioni di un teatro, a volte sembrano dei resti in rovina, le loro mura hanno icone sbiadite, altre costruzioni fanno vivere una storicità che si confonde del moderno. L’incoerenza del paesaggio è catturata dallo sguardo del fotografo nel traffico su uno sfondo di edifici che sembrano abbandonati, appartenenti a una città disabitata, nel deserto che si popola di icone. A queste indagine, nel paesaggio urbano si aggiungono le suggestive immagini del mare, un pescatore con mezzi rudimentali. Angel Marcos restituisce con il suo sguardo una città che resta fuori dal tempo.
Ironica e inattesa troviamo nella sala superiore l’esposizione di Patrizia Manna. Si tratta di una parte della serie intitolata “Etranges etrangers”. Ogni anno “La maison européenne de la photographie chiede ad un artista di realizzare ad un artista straniero un lavoro sulla sua comunità a Parigi. Il reportage di Patrizia Manna si rivolge a categorie diverse di itlaiani che hanno trovato al loro affermazione nella capitale francese o a personaggi che sebbene nati ormai in Francia mostrano ancora un legame con le loro origini. In questo esodo contemporaneo non è la necessità che conduce fuori dal proprio paese ma la speranza di un nuovo destino “la buona ventura”. I suoi personaggi sono galleristi, un sommelier, artisti, ambasciatori ecc. Tutti ritratti con una didascalia che ci indica la loro professione e la loro origine. Abilmente le foto immortalano i gesti della professione, gli atelier che rappresentano i personaggi o si soffermano sui sorrisi soddisfatti che presentano questa comunità di “strani stranieri”.
Il secondo piano dell’esposizione è dedicato a Gabriele Basilico. Il suo lavoro si rivolge al paesaggio urbano, alla città come alla periferia in un’indagine sul territorio. L’artista è un architetto di formazione che si è interessato alla fotografia inizialmente per il giornalismo. Successivamente nel suo percorso lo spazio e l’indagine sullo spazio urbano ha sostituito la ricerca dell’evento. Nel suo lavoro tutto è assorbito dal paesaggio e si rende testimonianza della vita propria alla città, la “realtà” della sua immagine, è restituita dallo sguardo del fotografo.
Nella ricerca dell’evento la dimensione che domina è la velocità, tutto è come in corsa e da questa corsa deve emergere il momento decisivo. Nelle foto di Basilico al contrario tutto si trova già nel paesaggio e non c’è modo di scorrerlo con la fotografia se non in maniera lenta, con lo scopo di penetrarlo mentre lo si abbraccia da lontano o nel particolare.
Troviamo così delle prese dall’alto di Napoli o Milano. La prospettiva ci da la sensazione che tutto stia per capovolgersi verso di noi. La città è osservata nel suo insieme come qualcosa di animato e fragile. Altri particolari rivelano l’analisi del paesaggio da punto di vista sociale e economico. Grandi formati in bianco e nero sono testimonianza dell’anatomia urbana rappresentando dei cartelli, delle strade come vediamo su delle foto di Losanna. Altre volte le rovine sono ritratte nella loro desolazione come nella serie dedicata a Beyrouth.
Domina invece lo sguardo sui contrasti nella serie dedicata a Berlino o New York. Qualche fotografia a colori alterna i formati in bianco e nero. Le prese dall’alto sull’intera città si alternano a quelle sui piccoli dettagli. Tutto rivela il particolare e viceversa, il particolare può farci scoprire l’insieme. Così il centro e la periferia si alternano in un'unica definizione dell’identità territoriale data nelle differenze e nelle trasformazioni che la caratterizzano. Basilico esplora l’architettura degli edifici, i cambiamenti dati dalle prospettive e dai momenti diversi in cui si osserva, diventa lirico nello sguardo su un bivio, una strada deserta o nei giochi di luce prodotti nel buio della notte.
La città nel traffico o tra le sue rovine è sempre qualcosa di vissuto che lo sguardo attento dell’artista restituisce mostrando i suoi equilibri e le sue contraddizioni.
Questa esposizione riunisce le tappe più importanti della produzione di Basilico con fotografie dal 1980 al 2005 mentre parallelamente a questo evento le gallerie VU e Anne Berrault ospitano altri lavori dell’artista a Parigi.
Il terzo piano della MEP, propone infine la scoperta della collezione Anna Rosa e Giovanni Cotroneo. Si tratta di una selezione di opere tra le quali parti di alcune serie di Giacomelli come “teatro della neve”, “non ho mani che mi accarezzano” e “la buona terra” con dei piccoli formati in bianco e nero pieni di poesia.
Emerge la presenza di Mimmo Jodice con delle riprese oniriche tracciate attraverso oggetti del quotidiano in movimento, animali, oggetti da cucina. La serie “mediterraneo” gioca invece con il bianco nero e gli effetti di luce di una testa di bronzo romana. Proseguendo incontriamo i grandi nomi della fotografia italiana, come Ghirri, Mussat Sartor, Scianna, Silvio Wolf e altri. Infine, un’istallazione inedita di Alfredo Pirri.
Tra astrazioni e ritorni a forme di rappresentazione più realiste si offre ai visitatori una raccolta di opere d’eccezione.
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