Si tratta di un immenso spazio espositivo che Parigi ha dedicato alle arti extraeuropee, ma con un’intenzione volta anche al dibattito e alla ricerca. A disposizione del pubblico c’è anche un teatro e diverse sale per rappresentazioni e conferenze, una mediateca con la possibilità di consultare archivi importanti. Solo una parte del museo è consacrata alle esposizioni, poco più del 10 per cento, mentre il resto sarà dedicato, appunto, alla ricerca al dialogo su tematiche di interesse scientifico e artistico.Il museo rappresenta uno spazio unico nel suo genere: è situato sul lungosenna Branly, sulla rive gauche, proprio a fianco della Torre Eiffel e si estende su un’area di 40 mila metri quadrati. Il progetto è stato fortemente desiderato da Chirac ed è costato 233 milioni. Anche l’attuale presidente non si è sottratto al clichè di lasciare un’opera per la posterità, come Pompidou con il Beaubourg e Mitterand con i lavori immensi della biblioteca che porta il suo nome: il risultato dell’iniziativa di Chirac ha una cornice non meno grandiosa.
L’edificio d’indiscutibile valore estetico nelle sue proporzioni straordinarie, è stato progettato dall’architetto Jean Nouvel, poggia su piloni posti a dieci metri da terra che formano uno spazio nel quale è stato creato un grande giardino. Quest’ultimo, ideato dal pesaggista Gilles Clement, ospita 180 alberi e numerose specie di piante.
L’opera prende la forma di un’immensa passerella tra gli alberi, ma ciò che la contraddistingue resta la vetrata verde a losanghe che attraversa l’edificio con i suoi parallelepipedi di dimensioni e colori diversi, come scatole colorate che fuoriescono, eccedono dall’edificio. Come cabine sospese accolgono la magia e il mistero delle collezioni ospitate.
Non ultima originalità del museo è infine il muro vegetale di Patrik Blanc, 800 m2 di superficie ricoperti da più di 15000 piante.È chiara l’idea di un dialogo tra l’architettura e l’oggetto che il museo ospita, l’idea di un luogo aperto. Più che un monumento, troviamo un territorio dove perdersi della scoperta dell’altro, dello sconosciuto. Non c’è un'unica entrata, ma sei ingressi differenti che rispondono a questo tentativo di decentralizzazione. Un’atmosfera che dall’inizio ci immerge in un ambiente dove perdere i propri punti di riferimento.
Il nostro percorso di visita inizia su una lunga rampa-passerella bianca, che sinuosa, attraversata da video proiezioni, dalla hall ci porta alle esposizioni. Questa lunga passeggiata ci introduce all’atmosfera dei grandi spazi geografici da cui provengono le collezioni : Oceania, Asia, Africa e America.
Attraversato da questa passerella, un enorme cilindro trasparente accoglie migliaia di strumenti musicali. Un deposito forse discutibile, ma che costituisce il primo incontro con la collezione imponente del museo che racchiude complessivamente più di tremila oggetti. Intanto la luminosità dell’ingresso lascia il posto ad una semioscurità in cui si presentano l’esposizione permanente. Non c’è nessuna indicazione precisa e la prima impressione è quella di uno spaesamento, si scopre che lo spazio espositivo è unico, senza divisioni precise e discontinuo, con discese e salite che riproducono l’andamento irregolare di un paesaggio.
Cominciamo ad attraversare i territori dell’Oceania. Il percorso è dedicato alle popolazioni dell’Australia e delle isole del Pacifico, ai loro scambi tra stoffe, maschere e simboli diversi in una dimensione tra lo spettacolare e l’intimo. La scultura emerge nella sua grandezza soprattutto quando si tratta di totem presentati senza protezioni, che provocano un impatto forte sullo spettatore. Altri oggetti sono divisi in categorie e presentati attraverso delle vetrine. Dal XIX secolo alle forme artistiche contemporanee è difficile per noi datare le opere, gli utensili, la loro storia. Tutto ci introduce in una complessità che ci cattura e di fronte alla quale non è possibile avere troppi riferimenti. Durante il percorso sono costanti video istallazioni che aggiungono con i loro filmati una presentazione di riti e costumi di queste popolazioni lontane.
La prima collezione si chiude con le tele colorate degli aborigeni australiani. Si tratta di grandi tele imbastite o di sottili stoffe, tutte hanno disegni geometrici o forme stilizzate con tinte che contempliamo per gli accostamenti dei colori, la loro intensità singolare.
Continua la passerella artistica tra oggetti della vita quotidiana e oggetti rituali nello spazio dedicato all’Asia. Esposti abiti e gioielli come statue e decorazioni.
La raccolta dedicata al continente africano è altrettanto complessa. Anche qui si trovano utensili, gioielli, decorazioni preziose, cofanetti sapientemente intagliati, scettri e stoffe che appartengono alle culture più diverse. Prevalgono le maschere e le sculture che, pur nella diversità dei popoli provengono, riportano una stilizzazione comune. A volte ci si trova in stanze che rientrano in un’oscurità con una messinscenza quasi spettacolare che cerca di ricreare l’atmosfera misterioriosa dei rituali cui appeartegono gli oggetti esposti. Spesso l’artificiosità di questa realizzazione può essere criticabile, ma è certo che si respira di fronte le opere presentate un modo altro di rapportrsi al mondo e alla natura, che affascina e incuriosisce lo spettatore, richiama la sua attenzione e il suo rispetto
Colpisce la ricchezza della collezione dedicata alle Americhe. Lo stile delle produzioni diverse è segnato dai contrasti di colori che ripoducono un impatto forte con il loro carattere. Le sculture sia nelle dimensioni imponenti e come nelle miniature sono piene di espressione, tanto da sembrare animate. Rispetto alle stilizzazioni precedenti notiamo una mimesi e un carattere più narrativo che ci introduce in nuovo modo di pensare lo spazio di abitare o credere alle forze del cosmo.
L’esplorazione del visitatore non si sofferma al singolo oggetto, ma al respiro che emana l’insieme di corrispondenze delle opere, la loro storia, il loro spessore.
Nonostante questa coraggiosa e ammirevole proposta di immersione iniziatica nella diversità delle culture, restano evidenti i limiti e le questioni che il progetto solleva. Molti antropologi ed etnologi dimostrano il loro dissenso, lamentandosi dell’esiguità dei fondi e dei posti destinati alla ricerca che hanno visto la dimensione scientifica estremamente ridotta. L’idea di esporre oggetti del quotidiano, abiti o utensili solo perché « altri » e « diversi » non è apprezzata in maniera unanime e i criteri per la presentazione di un popolo piuttosto che un altro restano problematici.
Resta problematico il passato coloniale di questi popoli e le oppressioni che fanno parte della storia di queste culture, cui ci avviciniamo in questo contesto come spettatori incantati in un museo “dell’altrove”.
Chiara PALERMO
Link Link al museo:
http://www.quaibranly.fr